Tutto dipende da te.
È questa la frase che mi sono sempre sentita ripetere durante quei due anni. Due anni che, per tutti infernali, sono per me ora velati, nascosti da una nebbia che ne oscura il vivido ricordo. “Com’ è possibile che tutto dipenda da me se nessuno mi lascia fare ciò che desidero realmente? Se tutti, proclamando il mio bene, mi costringono a fare quell’unica cosa che mi terrorizza e mi ripugna?”
Erano queste le risposte che, dietro a quell’annuire accondiscendente, mi sferzavano la mente, facendomi crescere per l’ennesima volta quella rabbia che, spietata, si rivolgeva verso coloro che si frapponevano fra me e i miei obiettivi, le mie ragioni di vita, ma, soprattutto, verso me stessa, evidentemente non abbastanza forte da prendere in mano la situazione, ribellarmi a tutto e a tutti senza curarmi delle conseguenze.
Sono arrabbiata, furiosa. Ma sono anche triste. Triste perché non riesco più a studiare e non riesco a fare una rampa di scale senza dovermi fermare, vinta dal fiatone. Sopraffatta da quella paura di uscire di casa, con il timore del giudizio degli altri, ma soprattutto del mio giudizio su me stessa, dei miei continui paragoni.
Ormai relegata in casa, il divano è diventato il mio unico amico. È lui ad accogliere le mie lacrime, versate di nascosto mentre tutti cenano. “Faccio schifo. Si, faccio schifo. Non posso continuare così”.
Salgo per l’ennesima volta sopra la bilancia. Da questa mattina sono aumentata. Sicuramente è colpa di quei due biscotti che ho mangiato per merenda. Così, presa dalla disperazione, mi rannicchio su me stessa (sopra il tappeto, perché il pavimento è freddo ed io lo soffro moltissimo in questo periodo, il freddo) e piango. Piango, piango forte ma in silenzio sperando che mia mamma non mi senta e non venga a consolarmi. Perché non capirebbe, non capisce mai.
Quella “macchia” dentro la testa mi urla che sono debole, incapace di portare a termine ciò che mi prefiggo. Mi dice che sono una fallita e che, se voglio davvero raggiungere la serenità, devo vedere quel numero della bilancia calare. Tutti mi dicono che ormai sono carne e ossa e devo ammettere che anche io inizio a vedermi molto magra.
“Arrivo solo ai xx, poi mi fermo. Lo giuro” dico fra me e me, per rassicurarmi, pur sapendo che non mi sarei mai fermata, che nessun numero mi sarebbe mai bastato. “Eppure, sono conscia dell’enorme delusione che sto portando nella mia famiglia.
Una figlia anoressica, chi la vorrebbe? Una ragazza problematica, ecco cosa sono. Comprendo e compatisco i miei genitori perché so che vogliono il mio bene”. Pensieri contrastanti affollano la mia mente e, combattuta tra l’amore della mia famiglia e quelli che sono gli unici scopi della mia esistenza, mi relego in un mondo ideale, il cui unico pensiero sono le calorie e l’unica preoccupazione dimagrire.
E così le giornate passavano, tra lacrime e commiserazioni, tra pianti e litigi con chi, esasperato, tentava di farmi ragionare. Fino a quando, un giorno, quella frase mi rimbombò in testa. Tutto dipende da te.
E compresi che, fino a quel momento, non avevo sbagliato, avevo solamente indirizzato la mia forza e la mia determinazione verso gli obiettivi sbagliati. Compresi che la vita mi stava sfuggendo dalle mani e che quello non era il mio futuro. Io, che desideravo diventare moglie, madre di due figli (un maschio e una femmina) e al tempo stesso lavoratrice, non avrei ottenuto nulla di tutto ciò.
Iniziai a pensare a chi mi voleva bene, a coloro che in quei due anni avevano sacrificato la loro vita, il loro lavoro per aiutarmi, per offrirmi le migliori cure. Iniziai a farlo per loro. Vedete, non si può iniziare per sé stessi. Solo i più forti lo fanno, solo loro si rendono conto che rialzarsi è l’unico modo per andare avanti. Ma quelli caduti troppo in fondo, quelli sommersi da tutti quei pensieri che, soffocanti, non ti permettono più di respirare, devono iniziare a risollevarsi per qualcuno. Io iniziai per i miei genitori, naturalmente, e per mio fratello che, cinque anni in meno di me, era costretto a comportarsi come un fratello maggiore, tutelandomi dagli altri e da me stessa. Io iniziai per loro.
Piano piano, con il riacquistare delle forze e soprattutto della lucidità, mi resi conto che la motivazione era cambiata, la motivazione ero diventata io. Non posso e non voglio cancellare ciò che è stato, fa e farà sempre parte di me e, dopo le cadute della vita, mi aiuterà a rialzarmi, sempre più forte di prima; conscia che ciò che ho vissuto, quella disperazione accompagnata al dolore, alla paura di deludere tutti, inclusa me stessa, non si prenderà mai più neanche un giorno della mia realtà.
E poi…
E poi gli anni sono passati ed io ci sono riuscita, io mi sono ripresa la mia vita. Certo, non ho dimenticato il passato; anzi, ogni giorno lo sfrutto per godermi il presente, per migliorare il mio futuro. Ogni giorno cerco di smussare quegli aspetti che di me non piacciono a ME, cerco di rispettare le mie esigenze e di interfacciarmi con gli altri nel modo che più mi si addice, senza prevalere o farmi sminuire. Mi faccio rispettare, con quella dolcezza che da sempre mi caratterizza.
Il mio augurio, per voi, è di amarvi e di rispettarvi; perché scappare non cancella i problemi, non vi fa evitare le delusioni; fuggire vi preclude dall’avere splendide ed inaspettate sorprese e quelle detestate lacrime, ne sono sicura, un giorno diverranno anche per voi pioggia di gioia e di gratitudine.
Si, la vita è veramente bella.
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”. Primo Levi